M. T. Iannelli, archeologo che ha eseguito scavi e ricerche per conto della Soprintendenza Archeologica della Calabria, racconta come negli ultimi trent’anni si è sviluppata la conoscenza dell’Aspromonte sia dal punto di vista storico che archeologico, grazie ad una maggiore attenzione di alcune Istituzioni e Associazioni per la montagna calabrese.
L’area presa in esame è quella relativa alle propaggini appenniniche della provincia di Reggio Calabria comprese tra il capoluogo e l’attuale comune di Monasterace, dove nel tempo, si sono moltiplicate le scoperte archeologiche che si svolgono lungo un ampio ed articolato arco temporale compreso tra la preistoria e l’età medievale.
Le indagini archeologiche e di superficie effettuate nel tempo, frutto della collaborazione tra la Soprintendenza archeologica, varie Università italiane e straniere e Associazioni di volontariato, hanno il merito di avere sottratto il territorio aspromontano reggino a quella marginalità e al “vuoto” di conoscenza a cui finora sembrava costretto, rispetto ad altre aree della Magna Grecia; inoltre hanno consentito di definire un primo quadro complessivo, seppur preliminare, della distribuzione degli insediamenti nel loro sviluppo diacronico e di delineare le dinamiche di circolazione, di produzione e quindi di commercializzazione, sia dei manufatti, sia delle varie merci.
La dott.ssa M.T. Iannelli sarà coadiuvata dal nostro past-president A. Picone Chiodo, agronomo, esperto dell’Aspromonte.
Sulle orme della pubblicazione realizzata dal CAI con il contributo del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio “Segni dell’uomo nelle terre alte d’Aspromonte”, a cura di A. Picone Chiodo, e di altre pubblicazioni scientifiche che si sono succedute negli anni, si ripercorre il viaggio tra mito e storia, secondo l’approccio dei primi coloni greci che giunsero dal mare e penetrarono verso l’interno.
Dopo un breve cenno agli insediamenti preistorici si affronta il problema dei primi rapporti tra le popolazioni indigene e i Greci che arrivano in questo territorio come prospectors (coloro che esplorano preliminarmente i luoghi), col fine di dedurre colonie: Reggio, Locri, Kaulonia; si delineano anche le vicende dei diversi territori (chorai) spesso fortificati (Serro di Tavola, Monte Gallo, Palazzi) con il loro limen e la viabilità interna, che ben presto evolvono nella fondazione di nuove città, Hipponion (attuale Vibo Valentia), Medma (attuale Rosarno), Méthauros (attuale Gioia Tauro), ubicate sulla costa tirrenica.
Per l’età romana i rinvenimenti testimoniano un evidente cambiamento delle dinamiche insediative di questo territorio, per la presenza di numerose villae rustichae finalizzate allo sfruttamento agricolo delle aree, che sono diffuse anche nell’entroterra (esempi campione sono i complessi indagati nel territorio di Capo Spartivento e in quello di Monasterace/Stilo).
Le evidenze archeologiche di tutta l’area presa in esame dimostrano anche la ricchezza delle sue risorse naturali che vengono sfruttate in tutte le età; si fa riferimento sia ai giacimenti minerari che attraverso un’intensa attività metallurgica consentirono a Reggio e Kaulonia di coniare gli incusi in argento, sia alle ricchezze boschive della Sila (così veniva chiamata tutta la parte montuosa della Calabria senza l’odierna distinzione tra Aspromonte, Serre e Sila); la presenza diffusa del “pino laricio” consentiva di utilizzare questa riserva per la produzione della legna necessaria alla costruzione delle imbarcazioni, come attesta Tucidide, e delle coperture degli edifici; dai boschi della Sila si estraeva pure la pece, anch’essa nota alle fonti antiche (Plinio), ampiamente adoperata per calatafare le navi, e per impermeabilizzare i contenitori anforici utilizzati per l’olio e il vino anche per la carne e il pesce salato. La produzione della pece è attestata dal recente rinvenimento di specifici contenitori (kàdoi) a Kaulonia e anche nell’odierna Sila.