Nell’ottica ormai quasi ventennale di attivarsi per fa sì che le aree protette in Italia siano … meno protette anche questa ultima modifica alla legge quadro si avvia verso tale direzione.
Piccoli tasselli, un comma aggiunto “per caso”, un aggettivo sostituito all’ultimo minuto, una parola messa nell’articolato complesso e unico fanno sì le tante battaglie fatte per giungere all’istituzione dei Parchi e riserve in Italia con lo spirito principe della Conservazione in primo luogo, anche in questa battuta subisce un piccolo ritocco.
Oggi con la scusa di accelerare i tempi, per esempio, si nomina il Direttore direttamente.Se da una parte la legge ha di fatto dato vita a molti parchi nazionali (ne avevamo cinque prima della entrata in vigore delle norme contenute nella 394, oggi ne abbiamo ventiquattro, considerando anche l’ultimo parco nato qualche giorno fa), dall’altra la vecchia legge ha garantito percorsi chiari (forse con tempi lunghi) nella nomina della Governance di un Ente Parco.
«11. Il direttore del parco è nominato dal Presidente del parco in considerazione delle attitudini, delle competenze e delle capacità professionali possedute, purché attinenti al conferimento dell’incarico. Il Presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni. Alla cessazione dalla carica del Presidente che lo ha nominato il direttore può essere revocato dall’incarico entro novanta giorni, decorsi i quali si intende confermato sino alla naturale scadenza del contratto»;
I Piani del Parco che oggi devono essere approvati dalle Regioni hanno tempi di attesa lunghissimi (per esempio, il Piano del Parco del Pollino, nonostante l’ente di gestione l’abbia licenziato da diversi anni, non è stato ancora approvato); allora come si risolve questo problema? Con il silenzio-assenso. Infatti, se entro dodici mesi le regioni non si esprimono sui contenuti e muovono eventuali suggerimenti, il Piano si intende approvato, nonostante probabili o possibili (direi voluti) articolati che al momento opportuno vanno ad incidere sugli obiettivi di un area protetta.
Altra novità sta nel fare un unico piano che contiene sia gli indirizzi di tipo socio-economico che quelli paesistici.
Però, d’ora in poi questo non si chiamerà più Piano ma Carta del Parco.
Con un sistema complesso di modifiche e di “rimpalli” tra Comuni, Regioni, Comunità montane (lì dove sono ancora in vigore), la Carta del Parco dopo essere stata approvata dal Consiglio Direttivo ed essere approvata dalla Comunità del Parco (parere vincolante): entro trenta giorni.
Seguono altri quaranta giorni presso gli enti di cui sopra.
Altri quaranta giorni per le osservazioni scritte di qualsiasi cittadino.
Altri trenta giorni per esprimere il parere dell’Ente Parco sulle osservazioni presentate.
Entro quarantacinque giorni, la regione d’intesa con l’Ente Parco.
Per un totale di 185 giorni, ossia sei mesi.
Qualora trascorsi questi mesi e non si è fatto nulla, sarà il Ministero dell’Ambiente che interverrà. In che modo la norma non lo dice.
Un’altra questione che lascia parecchie perplessità è l’istituzione di una specie di tassa che gli interessati pagheranno all’Ente Parco qualora decidano di sfruttare le risorse presenti all’interno dell’area protetta.
Si parla di royalties che gli interessati verseranno all’Ente Parco per sfruttare cave, minerali, acque e petrolio. Riguardo quest’ultimo argomento, l’idea è venuta a Domenico Totaro, presidente del Parco dell’Appennino lucano, che ha più volte parlato di “criterio di ristoro ambientale” come rimborso per i danni causati dallo sfruttamento delle risorse ricadenti dentro un parco nazionale.
1-ter. I titolari di autorizzazioni all’esercizio di attività estrattive, già esistenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, nelle aree contigue di cui al comma 2-bis dell’articolo 12 sono tenuti a versare annualmente all’ente gestore dell’area protetta, in un’unica soluzione e a titolo di contributo spese per il recupero ambientale e della naturalità, una somma pari ad un terzo del canone di concessione.
1-quinquies. I titolari di concessioni di coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, già esistenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione nel territorio dell’area protetta e nelle aree contigue di cui al comma 2-bis dell’articolo 12, sono tenuti a versare annualmente all’ente gestore dell’area protetta, in un’unica soluzione e a ti-tolo di contributo alle spese per il recupero ambientale e della naturalità, una somma pari, in sede di prima applicazione, all’1 per cento del valore di vendita delle quantità prodotte. L’ammontare definitivo di detto contributo e le modalità di versamento all’ente gestore dell’area protetta sono determinati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
Infine, entra dalla finestra, quella che è stata cancellata nella prima stesura della 394: la questione caccia.
Infatti, l’ente parco si occuperà delle aree contigue dove si possono esercitare la caccia, pesca e le attività estrattive che verranno regolamentate dall’Ente Parco.
Per questo il Parco e i suoi organi dirigenziali sono paragonati alla pari di altri enti in fatto di elargizione di contributi per i fini più disparati anche estranei agli obiettivi di conservazione della natura: l’Ente parco finanzierà impianti di depurazioni, di risparmio energetico “servizi ed impianti di carattere turistico naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di atti di concessione alla stregua di specifiche convenzioni; l’agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, di attività tradizionali artigianali, agro-silvo-pastorali, culturali, di servizi sociali e biblioteche, di restauro, anche di beni naturali, e di ogni altra iniziativa atta a favorire, nel rispetto delle esigenze di conservazione del parco, lo sviluppo del turismo e delle attività locali connesse. Una quota parte di tali attività deve consistere in interventi diretti a favorire l’occupazione giovanile ed il volontariato, nonché l’accessibilità e la fruizione, in particolare per i soggetti diversamente abili”.
Neanche una parola per quanto riguarda la vigilanza nelle aree protette.
L’attività di sorveglianza che fino ad oggi è stata condotta dal Corpo forestale dello Stato, a partire dal prossimo anno non si sa a chi verrà affidata, visto che il CFS è stato accorpato ad altri corpi di polizia.
Altra questione importante è la composizione del Consiglio Direttivo di un area protetta.
Eliminate, da un decreto del governo Monti, le figure dei docenti universitari in rappresentanza degli atenei ricadenti nel territorio del Parco, sono state inserite rappresentanze di organizzazioni agricole e rafforzata la presenza dei sindaci. Ridotta la presenza dei rappresentanti delle associazioni ambientali.
Come dire che sono stati messi da parte gli interessi generali per favorire quelli locali e localistici.
Mentre i componenti del Consiglio direttivo possono essere confermati una sola volta, il presidente non ha vincolo di mandato. Un’altra novità sta nell’inserimento della FEDERPARCHI, l’associazione che raggruppa tutte le aree protette, come rappresentante istituzionale degli enti di gestione dei parchi.
Questa, estrema sintesi, sono alcune delle tantissime modifiche inserite nella norma appena licenziata dal Senato. Centoventiquattro pagine piene di commi, rettifiche, adeguamenti, nuove definizioni e competenze che sicuramente lasceranno un segno indelebile nella governance delle aree protette italiane.
Speriamo bene!
Ma veniamo alle reazioni.
Gli unici che cantano fuori dal coro sono solo le associazioni ambientaliste; in primis il WWF parla di mancata accoglienza delle osservazioni e delle proposte di centinaia di esperti e uomini di cultura e quindi chiede che la riforma venga modificata alla Camera.
In sintesi, ecco alcuni punti critici sollevati dal WWF:
- Una modifica della governance delle aree protette che peggiora la qualità delle nomine e non razionalizza sufficientemente la composizione del Consiglio direttivo, in cui viene prevista la presenza di portatori di interessi specifici e non generali come deve essere. Non vengono definiti strumenti di partecipazione dei cittadini né la previsione di comitati scientifici;
- Una governance delle Aree marine Protette che non prevede alcuna partecipazione delle competenze statali e individua Consorzi di gestione gli uni diversi dagli altri;
- L’assenza di competenze specifiche in tema di conservazione della natura di Presidente e Direttore degli Enti Parco;
- Un sistema di royalties che, pur legato ad infrastrutture ad alto impatto già esistenti, deve essere modificato per evitare di condizionare e mettere sotto ricatto i futuri pareri che gli enti parco su queste dovranno rilasciare;
- Una norma che attraverso la “gestione faunistica”, con la governance prevista, acuirà le pressioni del mondo venatorio;
- L’istituzione di un fantomatico Parco del Delta del Po senza che venga definito se si tratti o meno di un parco nazionale, quando peraltro la costituzione di questo, come Parco Nazionale, è già oggi obbligatoria ai sensi dalla legge vigente
- Non si vietano le esercitazioni militari nei parchi e nei siti natura 2000;
- Non si garantisce il passaggio delle Riserve naturali dello Stato, del personale e delle risorse impegnato, ai parchi.
A questo canto si aggiunge Legambiente e il Centro Parchi Internazionale.
“Il testo proposto – dice Cogliati Dezza – non tiene conto, infatti, dei contributi avanzati da diverse parti, tra cui Legambiente, e non aiuta ad avvicinare le diverse posizioni in campo, ma crea nuovi motivi di preoccupazione per il futuro delle nostre aree protette.
Abbiamo sempre sostenuto – prosegue – che una buona e necessaria manutenzione di questa legge si possa ottenere solo coinvolgendo tutti gli attori interessati e con una maggiore attenzione da parte della politica a una vicenda che rappresenta un’opportunità importante per lo sviluppo culturale e socio-economico del Paese. Riteniamo un errore, ad esempio, che né il ministero dell’Ambiente, né le Regioni abbiano avvertito la necessità di aprire una discussione pubblica e trasparente su come procedere alla revisione della legge”.
Per Legambiente, proprio il fatto che la 394/91 sia una buona legge determina la necessità di una sua revisione. Perché gli indubbi successi riportati in questi anni nella conservazione della biodiversità nelle aree protette, nel radicamento del valore della protezione della natura, nell’accettazione da parte delle popolazioni locali dell’area protetta, vissuta non più come vincolo ma come volano di nuovo sviluppo, richiede un adeguamento normativo alla situazione che si è venuta a determinare. Una necessità manifestata da più parti, e a più riprese, per rendere la legge più efficace per la tutela della biodiversità e la promozione dello sviluppo sostenibile nelle aree protette.
Nel testo unificato proposto dalla Commissione Ambiente del Senato, Legambiente considera positive le modifiche alla legislazione sulla tutela delle aree marine protette e del mare, la promozione di azioni di sistema per la conservazione della biodiversità, la riduzione dei componenti dei consigli direttivi dei parchi, il reclutamento e la selezione della figura del direttore attraverso nuove procedure e il superamento dell’albo degli idonei, il mantenimento dell’intesa con le regioni per la nomina del presidente, l’estensione del potere di regolamentare le aree contigue da parte dei parchi e l’accelerazione dell’iter di approvazione dei piani dei parchi, il chiarimento sul divieto di caccia e il miglioramento delle procedure per intervenire contro le specie alloctone e invasive che arrecano danni alla biodiversità.
Ma l’associazione segnala anche che in molti articoli compaiono errori materiali e sono presenti proposte superate, in parte a causa delle previsioni della spending review, e che sussistono articoli e commi con formulazioni equivoche, che destano preoccupazioni e andrebbero corretti da subito.
“Nel testo proposto – aggiunge Cogliati Dezza – chiediamo che vengano cancellati i parchi geologici come nuova classificazione di aree protette, che la parte relativa alla tutela del mare venga aggiornata in alcune parti e che le aree protette marine regionali non siano trasformate automaticamente in aree nazionali senza un’adeguata istruttoria di merito, che il ministero dell’Ambiente, che non ha personale in servizio presso le segreterie tecniche che sono state abolite dalla spending review, possa avvalersi dell’Ispra per tutte le istruttorie tecniche che derivano dall’approvazione di questo testo di legge. Chiediamo, infine, che nel testo venga scritto in maniera chiara che i parchi non ricevono royalties, ma contributi per i servizi eco-sistemici forniti, e che tali contributi economici si riferiscono solo ad attività già esistenti nelle aree protette e in quelle contigue e non a nuove attività impattanti, come cave o impianti di qualsiasi natura, che nei parchi sono vietati”.
La crisi ambientale in Italia sta manifestandosi sempre più preoccupante, gli attacchi ai Parchi e alla Natura si susseguono, portando il Paese a fondo, senza alcuna via di ritorno: tutto sembra dipanarsi in una nebbia soporifera, nella generale rassegnazione e nella manifesta incapacità di reazioni valide. Perché? Abbiamo rivolto la domanda al professor Viktor Klarsicht [1], attualmente in Anno Sabbatico in America, considerato tra i massimi esperti di Storia della Conservazione. Ed ecco la sua chiara e semplice risposta…
I Parchi e la Natura in Italia sono stati ceduti alla politica, o meglio sono stati da questa occupati con prepotenza, ignoranza e arroganza. Governati da nomine di natura partitica, che hanno estromesso o emarginato le personalità più indipendenti e competenti, vengono oggi sfruttati intensamente soprattutto per operazioni di interesse local-politicistico, personalistico e settoriale. Operazioni ovviamente di basso profilo, ma di grande egoismo, avidità e narcisismo, comunque lontane dal vero interesse della collettività.
Non è certo una novità, ma il fenomeno si sta espandendo ora come mai prima, e sta dilagando incontrastato anche nelle altre organizzazioni che avrebbero dovuto mantenere efficienza e indipendenza: pensiamo ai disastri emergenti nei settori bancario e dell’informazione, dell’istruzione e della sanità, per non dire della programmazione nazionale e dell’assetto del territorio. Ma tutto viene ammantato in un velo di apparente impegno per l’ambiente e per l’interesse del Paese, tra roboanti proclami, battute a effetto, cialtronesche promesse e deprimenti banalità.
Si tratta di un goffo mascheramento, perché basterebbe sollevare un poco il velo, alzare qualche coperchio, e la triste verità verrebbe alla luce, rivelando quali siano gli interessi in gioco. Eppure nessuno, e tanto meno l’ambientalismo (che un tempo appariva forte e deciso, ma si presenta ora debole e diviso), sembra capace di intervenire. O meglio, l’unica strategia di contrasto finora espressa resta il cosiddetto «piagnucolamento» infantile. E cioè un singhiozzo per ogni nuova catastrofe annunciata: soppressione della Forestale, frammentazione del Parco dello Stelvio, scomparsa del Museo Geologico, corsa al taglio di alberi e boschi, annacquamento della legge sui Parchi, ponti d’oro all’espansione dell’attività venatoria, strangolamento dei centri di recupero della fauna… E poi tutto finisce lì.
Ma la verità dei fatti e della storia non potrà essere dimenticata né cancellata. Riesumando la «memoria storica», si scoprirà prima o poi che questo ectoplasma verdastro piagnucolante, fantasma dell’ambientalismo che fu, non risulta neanche lui tanto innocente. Perché non v’è dubbio che nel recente passato è stato troppo spesso spettatore inerte, e talvolta addirittura complice e sicario, di molte malefatte. In conclusione, ha lasciato che una realtà adamantina e disinteressata, coerente e solida come quella della seconda metà del secolo scorso (che aveva coinvolto giovani e meno giovani, soccorso la fauna in pericolo, difeso gli alberi padri, prodotto la legge quadro sui Parchi e vinta l’impossibile «sfida del 10%», affinché almeno un decimo del Bel Paese fosse tutelato all’avvento del Terzo Millennio) finisse emarginata, imbastardita e liquefatta, nel giro di appena qualche anno.
In definitiva, continuando su questa strada, è chiaro che domani i cosiddetti Parchi nazionali, in Italia, forse esisteranno ancora, ma saranno davvero qualcosa di diverso. Dietro al loro nome, si celeranno soprattutto insipide realtà virtuali, ottimi trampolini di scalata politica, centri di attività paraculturali e pseudoecologiche, contenitori di mille affari estranei travestiti di verde (mascheramenti definiti dagli anglosassoni «green-washing»).
Saranno ormai ridotti, insomma, proprio a ciò che voleva la politica: splendide, gratuite e comodissime etichette.
È di questi giorni l’approvazione, da parte della Commissione ambiente del Senato, della riforma della legge 394/91 sulle aree protette. La Federparchi ha subito espresso con soddisfazione il proprio apprezzamento per il lavoro fin qui svolto, riservandosi di «valutarne completamente la portata una volta concluso l’iter».
Forti dubbi sui reali contenuti e sugli obiettivi che si vogliono perseguire con la modifica alla legge dei parchi sono espressi dal prof Orazio Ciancio[2], presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali
“Per troppo tempo in tante parti del nostro Paese il bosco è stato umiliato e offeso. E ancor oggi spesso è considerato una miniera da cui estrarre quanto serve, senza nulla dare. Si fa un grande abuso della motosega e si aprono molte, troppe strade. Le mutate condizioni culturali, sociali ed economiche impongono una revisione critica della gestione forestale”
La gestione sostenibile delle risorse naturali rappresenta la sfida del Terzo millennio. Non è più possibile ignorare il loro degrado, dovuto all’uso incontrollato e non rispettoso degli equilibri e dei dinamismi naturali. La lotta ai cambiamenti climatici, la conservazione della biodiversità, la desertificazione costituiscono un punto di riferimento ineludibile.
In questi ultimi anni, si è raggiunta la consapevolezza che il bosco è un bene di interesse pubblico (Ciancio, 1988). Ormai, anche a livello culturale, è stata acquisita la convinzione che ogni turbativa, in contrasto con i delicati e complessi meccanismi che regolano l’equilibrio dinamico dell’ecosistema bosco, provoca danni solo parzialmente riassorbibili, da molti considerati intollerabili.
È opinione comune che la gestione forestale sostenibile debba rispondere ai bisogni della società, perseguendo, in primo luogo, l’obiettivo dell’efficienza dei sistemi forestali e, in secondo luogo, l’equità intra e intergenerazionale.
Nonostante ciò, e malgrado le buone intenzioni e i tanti proclami, si è ben lontani dal tenere nella debita considerazione le esigenze del bosco. Per troppo tempo in tante parti del nostro Paese il bosco è stato umiliato e offeso. E ancor oggi spesso è considerato una miniera da cui estrarre quanto serve, senza nulla dare. Si fa un grande abuso della motosega e si aprono molte, troppe strade.
Per affrontare il problema e delineare comportamenti responsabili è indispensabile riconoscere che il bosco non è solo un’officina a cielo aperto, né una macchina per produrre legno. È necessario accostarsi al bosco in modo diverso: studiare i fenomeni naturali; osservare l’evoluzione degli ecosistemi; acquisire gli elementi necessari ad aiutare la natura nei suoi processi; imparare a non creare stress deleteri al sistema. Tutte queste cose sono intuitive e abbastanza semplici, eppure quasi sempre vengono dimenticate.
Se nei Parchi si può perseguire il massimo reddito fondiario, allora il problema non si pone: basta procedere così come si è sempre fatto. Ma ciò è improponibile.
Nei fatti significherebbe contraddire l’idea stessa di area protetta. La legge sulle aree protette, la 394/91, pone vincoli; e i vincoli, si sa, vanno rispettati.
E non solo perché sono previsti dalla legge, ma per almeno due validi motivi.
In primo luogo, per una scelta di civiltà. In secondo luogo, perché i vincoli offrono alcune possibilità da cogliere e valorizzare.
Le mutate condizioni culturali, sociali ed economiche impongono una revisione critica della gestione forestale, nella consapevolezza, come vado sostenendo da vari lustri, che il bosco è un sistema biologico complesso indispensabile per rendere vivibile il presente e possibile il futuro.
La gestione forestale nei Parchi deve tenere conto delle connessioni che esistono fra le componenti ecologiche, sociali e culturali a scale multiple. La biologia può identificare gli ecosistemi e le comunità al loro interno, ma la cultura determina come questi vengono trattati.
All’interno dei Parchi, i boschi, frutto della lunga interazione dell’uomo con l’ambiente, sono ricchi di una diversità che oggi ha valore non solo naturalistico o estetico, ma anche culturale e antropologico. Occorre quindi individuare un nuovo approccio che tenga conto del valore complessivo del bosco. Ciò significa recuperare e reinterpretare i saperi locali e riconoscere la peculiarità di ogni bosco.
Il mutamento del rapporto bosco uomo comporta l’adozione di una nuova prospettiva filosofica nei confronti della Natura. O, se si vuole, un nuovo modo di vedere il bosco. È necessario pensare alla gestione del bosco non solo sotto l’aspetto pratico, ma anche in senso estetico, metafisico ed etico. L’avvenire della gestione sistemica comporta l’elaborazione di nuove idee e la consapevolezza dell’importanza del bosco per il miglioramento della qualità della vita.
In tale contesto viene da chiedersi quale sarà il futuro del bosco nei Parchi.
Ciascuno di noi può solo immaginare gli sviluppi scientifici e tecnologici che si verificheranno. Nei prossimi anni è molto probabile che le vere, e sottolineo vere, battaglie ecologiche domineranno l’agenda politica a livello mondiale. In questo quadro le foreste avranno un peso determinante per la salvezza di Gaia.
L’uomo dovrà confrontarsi con problemi enormi dei quali ancora non si ha una percezione esatta. La tecnologia avrà fatto passi da gigante e probabilmente quello che nei prossimi anni sarà un progetto di vasta portata ai fini energetici potrebbe dimostrarsi fallimentare ai fini ecologici o, al contrario, un progetto elaborato a soli fini ecologici potrebbe scontrarsi con le necessità primarie di vaste regioni del pianeta.
Di una cosa possiamo essere certi: sopravvivremo se non danneggeremo oltre misura le foreste. Fra molti lustri una scelta possibile è quella di considerare tutte le foreste di origine naturale come un Parco ecologico. La salvezza del pianeta comincia da questa ipotesi.
Infine: Annibale Formica, già direttore dell’Ente Parco del Pollino, esprime forti perplessità sulle norme appena licenziate da un ramo del Parlamento.
“A me pare, invece, una riforma che peggiora nei contenuti e nei modi tutto l’impianto normativo esistente. Alcune, tra le preoccupanti modifiche introdotte, che mi inducono a considerare negativamente il processo legislativo in atto, sono il silenzio assenso per il nulla osta rilasciato dagli Enti Parco, le «royalty» per le opere ad elevato impatto ambientale e l’obbligo, da parte delle Regioni, dell’intesa con i Comuni nell’approvazione del Piano per il Parco, il principale strumento di gestione dell’area naturale protetta. Le modifiche ipotizzate, secondo me, minano alla base le finalità e il ruolo del Parco, senza alcun miglioramento delle condizioni di gestione degli enti e senza alcun superamento delle loro difficoltà di funzionamento, che pure suggerivano un aggiornamento e un adeguamento nella normativa vigente”.
Ovviamente, tutti i presidenti in carica si sono affrettati ad osannare il nuovo articolato appena licenziato dal Senato.
Così il presidente Domenico Totaro del Parco nazionale Appennino lucano
“La legge che reca nuove disposizioni in materia di aree protette era attesa da tempo e finalmente, dopo l’approvazione del Senato, si appresta ad essere varata definitivamente con il passaggio alla Camera. Naturalmente può sempre essere migliorata ma oggi non possiamo non esprimere moderata soddisfazione per i suoi contenuti.”
Fa eco la dichiarazione congiunta dei presidenti del Parco d’Aspromonte Bombino e del Pollino, Pappaterra.
Essi affermano che:
“Le modifiche della Legge Quadro 394/91 sulle aree protette, approvate a larga maggioranza in Senato, migliorano l’efficienza gestionale dei Parchi e assicurano una più ottimale tutela dei valori naturalistici dei territori protetti in Italia. Tra le importanti integrazioni al testo è da segnalare l’inserimento, in seno ai consigli direttivi dei Parchi e in aggiunta ai rappresentanti del mondo scientifico e delle associazioni ambientaliste, degli esponenti del mondo agricolo; elemento, questo ultimo, che qualifica il rapporto tra l’Istituzione e le espressioni più prossime al territorio e contribuisce, inoltre, a coniugare alle scelte in materia di gestione del patrimonio naturale le istanze degli operatori del settore. Le modifiche approvate rappresentano una pagina nuova nella capacità di fare sistema e di elevare la dignità descrittiva dei territori protetti, nel convincimento che esaltino e sostengano le loro peculiarità. Siamo certi che sul cammino intrapreso confluiranno anche quanti, in questo momento, avversano il portato normativo approvato da uno dei due rami del Parlamento.”
A scanso di equivoci, però, è meglio che la Commissione Ambiente della Camera dia un’altra occhiata alle norme licenziate dal Senato. Non si sa mai!
Ed ecco l’auspicio di Pappaterra e Bombino, quest’ultimo in qualità anche di presidente calabrese della Federparchi.
A tale scopo fondamentale sarà il contributo della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, che, in seconda lettura del ddl, potrà individuare eventuali possibili punti di convergenza, che valorizzeranno la pluralità di sensibilità, fornendo un valore aggiunto all’impianto che, di per sé, racchiude già elementi di grande rilevanza e novità”.
Tratto da: www.paroladiacalandros.blogspot.it
[1] Esperto di Storia della Conservazione
[2] Fonte: articolo pubblicato nel vol. 71, n. 2, di quest’anno, della rivista «L’Italia Forestale e Montana